Ridurre il comportamento recidivo attraverso l’educazione

Co-authored by Dr. Melissa Swisher, Lecturer, Purdue University

Translation by Prof.ssa Francesca Cavallini, Tice Live & Learn

Negli Stati Uniti circa 2,3 milioni di persone si trova in carcere. Se si volesse fare un confronto ci sono 329, 1 milioni di persone che vivono negli U.S.A. Dunque l’1% della popolazione si trova in carcere. Un sistema che opera su una scala enorme come questa dovrebbe rivelarsi efficace, eppure il sistema carcerario non lo è. Secondo Johnson (2019, 18 giugno 2019), né la prigione né la libertà vigilata sono riuscite a prevenire la recidiva di alcuni ex detenuti. In effetti, il tasso di recidiva nazionale è del 67,5%. Quasi 1,2 milioni di detenuti si trova in prigione per infrazioni minori commesse nello status di libertà condizionale o vigilata avendo fallito un test antidroga o essendo mancati a un coprifuoco. Questo potrebbe apparire un problema per i prigionieri e non per la società nel suo complesso, ma il costo per rimandare i recidivi in carcere è di ben 2,8 miliardi di dollari l’anno. È come imporre a una persona di pulire dopo che non ha funzionato per la prima volta; non è nemmeno probabile che funzioni la seconda.

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Dal punto di vista comportamentale, molto semplicemente, la prigione e le relative ammende sono da considerarsi una punizione negativa. Punizioni negative o procedure come quella del timeout (Donaldson & Vollmer, 2011; Mace, Page, Ivancic, & O’Brien, 1986; White, Nielsen, & Johnson, 1972) sono finalizzate a ridurre il comportamento inappropriato (ad es. crimine) rimuovendo qualcosa in possesso della persona (ad es. indipendenza, libertà o denaro). Il carcere che prende forma di punizione negativa viola tre principi e procedure efficaci per rimuovere un comportamento: l’incarcerazione non si verifica immediatamente dopo aver commesso un infrazione; non si verifica ogni volta che viene commesso un reato; e non insegna una risposta corretta alternativa. In altri termini, nessuno in macchina avrebbe accelerato se avesse ricevuto una multa salata proprio mentre metteva in atto questo comportamento, ogni volta che lo faceva, o se aveva un altro modo per arrivare in tempo da qualche parte. Per prima cosa, eliminare le libertà rapidamente e immediatamente potrebbe funzionare a breve termine a ridurre il numero di infrazioni commesse dal detenuto, ma al contrario le persone solitamente vanno in prigione dopo mesi dall’infrazione commessa (vedi Paul Manafort). Al fine di ridurre i comportamenti indesiderati i punitori ritardati risultano molto meno efficaci rispetto ai punitori emessi immediatamente (Trenholme & Baron, 1975). In secondo luogo, l’incarcerazione scoraggerebbe il crimine se i detenuti fossero sicuramente inviati in prigione dopo ogni atto criminale (Barton, Brulle, & Repp, 1987; Clark, Rowbury, Baer, & Baer, 1973; DeArmond, 1966; Donaldson, & Vollmer, 2011; Powell & Morris, 1969) anziché dopo aver commesso una serie di reati. Terzo, la prigione scoraggerebbe il crimine se i detenuti imparassero una risposta alternativa alla violazione delle leggi (Herman & Azrin, 1964; Mace et al., 2010; Piazza, Moes, & Fisher, 1996). Ci concentreremo su questa terza opzione osservando come generare cambiamenti del comportamenti più duraturi.

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Al fine di allontanare i detenuti dalla criminalità e quindi dal tornare in prigione, essi potrebbero ricevere un’istruzione e potenzialmente ottenere un lavoro una volta rilasciati (che rappresenterebbe la risposta alternativa). Secondo il National Center for Education Statistics Blog (2017, 11 gennaio), il 30% dei 1.300 detenuti inclusi in uno studio del 2014 non aveva un’istruzione superiore. Una percentuale significativa di quei prigionieri non aveva nemmeno acquisito l’alfabetizzazione di base o le abilità matematiche che potrebbero essere richieste per molti lavori. Secondo il Prison Studies Project, i detenuti hanno meno probabilità di tornare in prigione dopo aver conseguito una laurea. In effetti, maggiore è il grado di istruzione, minore è la probabilità che commettano nuovamente crimini. Educare chi sta in prigione ha riscontri positivi circa la violenza nelle carceri e riduce la probabilità di recidiva. Anche i bambini che vedono i loro genitori istruiti prendono più seriamente il peso della loro istruzione. Diverse università partecipano a programmi di educazione dei prigionieri e presso la Washington University di St. Louis ha ricevuto il diploma la prima coorte di dieci prigionieri. Attraverso il progetto di educazione carceraria, il personale carcerario e i prigionieri prendono lezioni presso la Washington University. Questo, e quasi altri 200, programmi rappresentano soluzioni promettenti per ridurre gli alti tassi di recidiva, in quanto nessuno dei laureati della struttura di recupero di Bonne Terre è tornato in prigione (Bernhard, 22 maggio 2019). Se ai prigionieri fosse consentito di fare la domanda per le sovvenzioni del programma Pell di Second Chance, allora circa altre 451.000 persone sarebbero in grado di conseguire la laurea mentre sono in carcere (Smith, 2019, 16 gen).

Courtroom
[4] Image provided courtesy of Jospe in the Public Domain

Oltre ai programmi di educazione generale che aiutano i detenuti, ci sono programmi di prigione con il contributo di animali in cui i detenuti riabilitano cani problematici destinati all’adozione, addestrano cani di servizio o addestrano gatti adottivi (Corley, 2019, 18 luglio; Jacobo, 2019, 2 febbraio; Patriot Paws; Villagomez, 2019, 27 mar; Zaccaria, 2015, 29 dic). Gli analisti del comportamento applicato che apprendono le tecniche di shaping e che lavorano nei giardini zoologici (Forthman & Ogden, 1992; Mahoney, 2016, 24 aprile; Maple & Segura, 2015), aprono le proprie pratiche di addestramento degli animali (ad esempio, lo zoo di intelligenza dei Brelands, Karen Pryor’s Clicker Training Academy, Laura’s Dog School), e talvolta addestrano animali per agenzie governative (Poling et al., 2010; Vanderbilt, 2013, ottobre). Una volta che i detenuti apprenderanno queste tecniche di addestramento degli animali e le teorie scientifiche che sono dietro ad esse, avranno opportunità di carriera flessibili al momento del loro rilascio.

Gli analisti del comportamento possono aiutare i detenuti anche in altri modi (vedi anche Cathey & Ward, 14 giugno 2018; Ellis, 1989; Fraley, 1994). Programmi di gestione delle contingenze (Burdon, St. de Lore & Prendergast, 2011; Dallery & Raiff, 2011; Kirby, Kerwin, Carpnendo, Rosenwasser, & Gardner, 2008; Silverman et al., 2007) e terapia di accettazione e impegno (cf., Ford, 2019, 27 febbraio; Wilson & Byrd, 2004) possono aiutare i detenuti con problemi di abuso di sostanze (vedi anche The Rational Addict). Gli ex detenuti che si trovano in libertà vigilata, che devono rimanere in astinenza, saranno in grado di superare i test antidroga e rimanere fuori dalla prigione più a lungo grazie all’aiuto di programmi di gestione delle contingenze e al programma di intervento comportamentale basato sul rinforzo positivo.

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Molti insegnanti entrano nel mondo   dell’istruzione perché credono che essa   possa trasformare la vita. Gli insegnanti   che sono anche analisti del   comportamento sono doppiamente   idealisti riguardo al potere che la scienza   ha nell’aiutare le persone. Se l’istruzione   è in grado di rimuovere quelle barriere   alle carriere di successo per i detenuti   attuali e precedenti e ridurre la   probabilità di recidiva, appare ingiusto negare ai detenuti tale opportunità. Anche se il sistema carcerario non si trasformerà repentinamente in un efficace deterrente per il crimine, piccoli cambiamenti come l’iscrizione di prigionieri a GED o a corsi di laurea possono avere un grande impatto sulla vita dei detenuti e delle loro famiglie.

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